Una carrellata di campioni dello sport italiano che hanno appassionato generazioni di tifosi e che hanno lasciato il segno fino ad oggi
Anche se fa di tutto per non esserlo, è un simbolo aggregante. Un angolo caldo del cuore. Un frammento prezioso della nostra memoria. Ancora adesso, dopo quasi vent’anni dal suo ritiro, tutti lo conoscono. Vecchi e giovani, uomini e donne, tifosi e non tifosi.
In occasione della finale dei mondiali in Qatar, in tribuna tra le star del calcio, il presidente Macron gli è andato vicino e lo ha abbracciato come fosse un beniamino della nazionale francese. Poco distante c’erano anche Ibrahimovic, Rummenigge e tanti altri famosi campioni di ogni età, però Macron non ha avuto dubbi. Che cosa gli abbia detto non lo sappiamo. Ma in quell’attimo, perfino Macron, potente leader mondiale, sembrava un ragazzino felice che riceve un autografo dal suo calciatore preferito.
Raccontare la storia di Roberto Baggio, nato a Caldogno, alle porte di Vicenza il 18 febbraio 1967, è come raccontare una fiaba a un bambino che crede ancora ai buoni sentimenti. Che crede che alla fine vincano sempre i migliori, i più bravi, i più coraggiosi. E che i cattivi e gli invidiosi finiscano male. Sconfitti e scacciati mentre i nostri eroi fan festa.
In realtà non va sempre a finire così, anzi. Però ogni tanto qualche eccezione c’è. E la storia di Roberto Baggio, campione fortissimo e fragilissimo insieme, lo conferma. Perché è una specie di antidepressivo senza effetti collaterali. Una potente iniezione di autostima per i momenti peggiori. Quando pensi che tutto ti sbatta contro, e sia meglio chiudersi in un angolo, ecco che Baggio, talento straordinario ma subito colpito da pesantissimi infortuni, ti ricorda che c’è una via d’uscita. E che puoi trovarla dentro di te.
Baggio l’ha trovata attraverso la fede, attraverso il buddhismo. «Ti insegna a cercare la forza latente in ognuno di noi», spiega quando racconta del suo primo incontro con questa pratica religiosa. E aggiunge: «Ognuno cerca la sua strada. Quella del dolore e della fatica, se reagisci, ti fa comunque crescere e trovare una soluzione, una luce per uscire dal buio».
A proposito di luce: la prima fortuna di Roberto Baggio, detto anche “Divin Codino”, è di nascere in una bella famiglia, affettuosa e numerosa. Soldi pochi, fratelli tanti, otto per la precisione. Una famiglia molto sportiva dove papà Florindo ama il calcio, il ciclismo. La mamma, Matilde, è sportiva per forza di cose. Star dietro a tutta quella banda richiede infatti una forma fisica straordinaria. Altro che dieta e palestra! La palestra ce l’ha in casa. E chi la fa correre di più è proprio quel diavolo di un ragazzino con la fissa della palla che calcia nel corridoio di casa spaccando tutto. Del resto si chiama Roberto in onore di Roberto Boninsegna e Roberto Bottega, i due idoli calcistici di papà Florindo. Con queste premesse, non c’è da stupirsi che Roberto Baggio sia diventato Baggio.
Fenomeno già da piccolo
Era un fenomeno già da bambino. Praticamente viveva al campetto di calcio. «Chi non si presenta non giocherà mai più», c’era scritto all’ingresso. E Roberto, stimolato dall’allenatore, il fornaio di Caldogno che si chiama Zenere, diventa un’attrazione locale. Tanto che quando passa alle giovanili del Vicenza fanno la fila per andare a vederlo. “Tu sei il mio Zico” gli dice Giulio Savoini, uno dei suoi maestri.
Una carriera fulminante. A 16 anni va già in panchina in C1. Poi diventa titolare in un crescendo di interesse degli operatori calcistici. Segna e fa segnare, diverte, fa dribbling da brasiliano. Un predestinato che viene acquistato per due miliardi e 700 milioni dalla Fiorentina, più lesta della Juventus di Boniperti. Baggio ha 18 anni. Tutto sembra andare per il meglio. Ma il destino di Baggio non è una linea retta. E se ne accorge il 3 maggio 1985, due giorni dopo la firma del contratto, quando il mondo gli crolla addosso giocando contro il Rimini di Arrigo Sacchi, un allenatore che ritroverà ancora nella sua carriera.
Roberto realizza il gol del Vicenza ma poi, inseguendo in scivolata un avversario, il ginocchio destro va in pezzi: rottura del crociato e del menisco. Un trauma pesantissimo, che in quei tempi, significa quasi sempre appendere le scarpe al chiodo. Baggio viene operato in Francia dal professor Bousquet, un luminare dello sport. E qui comincia l’altra vita parallela del campione Roberto Baggio. Quella che per quasi vent’anni lo costringerà a misurarsi col dolore con la paura di non farcela. Una corsa a ostacoli che lo accompagnerà, come su un otto volante, per tutta la sua carriera che terminerà il 16 maggio 2004 allo stadio di San Siro con la maglia del Brescia contro il Milan.
Ma in mezzo gli capiterà di tutto. Due scudetti (Juventus 1995 e Milan 1996) una Coppa Uefa con la Juve (1993) un Pallone d’oro e uno di Platino (1993), 205 reti in campionato e 27 in nazionale.